Immagini e parole…

Ho conosciuto da poche settimane Francesco, uno studente di Altamura che si diletta a scrivere versi. Due giorni fa mi dette da leggere questa sua che si ascolta nel video. E così gli ho proposto di abbinarla ad alcune immagini mie e di mio marito.

Il risultato è in alto…buona visione!

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Il cielo diviso: Christa Wolf e Il muro di Berlino

25 anni fa cadeva il Muro di Berlino. Questa mattina sul portale Google, un delizioso video dell’evento che ha segnato la storia, sancendo la fine della Guerra Fredda. Gli echi di tale fatto e il relativo vissuto si sentono ancora oggi. In occasione della celebrazione a Berlino 8.000 palloncini sono in attesa di prendere il volo per percorrere 15 km sulle tracce del muro di Berlino.

In letteratura qualcuno ha vissuto in prima persona gli eventi e ci regala il suo libro: “Il Cielo Diviso” della scrittrice Christa Wolf:

 

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“La città poco prima dell’autunno immersa ancora nella calura dopo la fresca estate piovigginosa di quell’anno, respirava con più veemenza del solito. Il suo respiro si effondeva in un fumo denso su da cento ciminiere di fabbriche nel cielo terso, ma poi gli mancava la forza di proseguire. La gente, da tempo avvezza a quel cielo velato, lo trovava improvvisamente insolito e difficile da sopportare, sfogando la subitanea irrequietezza anche sulle cose più remote. L’aria la opprimeva, e l’acqua – quell’acqua maledetta che puzzava di residui chimici da tempo immemorabile – aveva un sapore amaro. Ma la terra la reggeva ancora, quella gente, e finché ce n’era l’avrebbe fatto…”


Dal libro “Il cielo diviso” Christa Wolf, Edizioni e/o (traduzione dal tedesco e postfazione di Maria Teresa Mandalari)


Biografia:

Christa Wolf nasce il 18 marzo 1929 a Landsberg an der Warthe, attuale Polonia. Cresce sotto il regime Nazista e segue, come tutte le ragazze della sua età, la formazione giovanile nazista, lo Jungmädelbund.  Consegue la laurea in germanistica presso l’Università di Jena discutendo una tesi su Hans Fallada. Presiede la fondazione della Repubblica Democratica Tedesca nel 1949. Si pone all’attenzione internazionale con il romanzo “Il cielo diviso” tratto da una esperienza vissuta in una fabbrica di vagoni ferroviari. Tra i suoi libri più famosi troviamo: “Cassandra”, “Medea. Voci”.

 

Siddharta letto dai Giovani: recensione di Dario Di Pinto

Quando la lettura diventa un percorso di crescita sento che siamo sulla strada giusta. Ci sono varie fasi nella vita dell’uomo che vengono superate per grado, lentamente. L’adolescenza è un momento essenziale nella crescita di un individuo perché segnerà in maniera incisiva il futuro. L’oggetto in questione dell’articolo di oggi non è una recensione che ho scritto personalmente, ma quella di un giovane adolescente: Dario Di Pinto. In estate, concluso il ciclo di studi scolastici, si assegnano generalmente delle letture da accompagnare nelle calde giornate sulla spiaggia. Ebbene lo stesso è avvenuto per Dario il quale, tra una lista di libri, ha scelto “Siddharta” di Hermann Hesse. Onorato e lusingato, profondamente colpito dalla profondità dei suoi pensieri, ho pensato di pubblicare il suo scritto, lasciando un contributo essenziale al percorso intrapreso in questo spazio culturale: dare un senso alla lettura. Di seguito trovate la recensione scritta di pugno dal giovane Di Pinto. Buona Lettura. Dimenticavo: Dario ha solo 13 anni. A voi trarre conclusioni:

SIDDHARTA

RECENSIONE DI DARIO DI PINTO (13 ANNI)

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Il poema “Siddharta” fu scritto nel 1922 da Hermann Hesse un autore tedesco di notevole fama. Lo scritto narra la vita e le vicende appunto del giovane Siddharta figlio di un bramino, ragazzo semplice, abituato a mangiare poco ma molto diverso dagli altri giovani. Si distinse ben presto infatti per la sua ragguardevole capacità di pensare. Grazie a questa dote era capace di isolare il suo corpo terreno dalla sua “Anima” tramite anche l’OM, quella parola fondamentale alla base di tutto che permetteva di raggiungere la pace e la serenità mentale e spirituale. Grazie a questo riusciva quindi ad isolare il dolore, la fame, la sete, qualsiasi sofferenza. Sin da giovane Siddharta cercava questa saggezza infinita e ben presto capì che quest’ultima non poteva essere trasmessa dagli insegnamenti dei bramini e dagli anziani saggi ma bisognava trovarla nel proprio “IO”. Fu per questo che il ragazzo non volle mai seguire una dottrina e, non appena divenne uomo, se ne andò dalla sua casa paterna per cercare quindi la vera saggezza interiore. Questo viaggio lo intraprese assieme al suo amico migliore, la sua ombra, Govinda. Per anni i due compari viaggiarono vivendo di poco, un solo pasto al giorno vestiti di abiti semplici…degli stracci. Un anno in particolare trovarono una dottrina: il Saggio di quest’ultima era il Budda, il Perfettissimo. Ben presto lo riconobbe Siddharta, nonostante il Sublime vestiva ed elemosinava come tutti gli altri monaci, osservando il suo volto. Anche se non pareva allegro ne triste ma esprimeva pace, si riconosceva quel sorriso interno, puro, umile e sereno come quello di un bambino in buona salute. Visto ciò Govinda decise di fermarsi in quella dottrina con l’Illuminato e abbandonò il suo più grande amico che non volle fermarsi…anzi decise di andare avanti e cercare la perfezione da solo. Senza un maestro che cercasse di spiegargliela, senza studiare da manoscritti o altro…soltanto riflettendo, pensando. Si incamminò allora da quel villaggio dove aveva riposato senza il suo compagno e dopo anni Siddharta cambiò, iniziò a diventare vecchio e non curava più il suo corpo. Le unghie gli crescevano lunghissime così come la sua barba e i suoi capelli sporchi…ormai era rimasto con stracci e privo di tutto…quando poi trovò qualcosa: un fiume. Nei pressi di quest’ultimo viveva un semplice barcaiolo e fu allora che l’uomo decise di fermarsi e passare i suoi ultimi anni lì assieme all’altro vecchio. Dopo un po’ di tempo Siddharta capì che aveva trovato il suo maestro, il barcaiolo, anche se questo era molto semplice aveva un’incredibile dote: quella di saper ascoltare. Ogni volta che si raccontavano le loro vite questo sapeva rimanere in silenzio per tutto il tempo ad ascoltare, a pensare. Il pover uomo aveva imparato tutto da quel fiume ancor più Saggio che trasmetteva la sensazione del sapere, della saggezza. Meravigliosi furono quegli ultimi anni di semplicità che trascorse insieme al barcaiolo. Tante ore passarono i due a pensare sulla riva del fiume quando poi un giorno Siddharta sorrise e solo dopo si rese conto che quello era lo stesso sorriso che aveva l’Illuminato di quel villaggio lontano molti anni prima. Siddharta aveva raggiunto la sapienza la saggezza la perfezione: Siddharta era diventato un “Budda”.

Questa è in breve la storia del poema che mi ha colpito di più in assoluto, mi ha commosso leggere questo libro, riga per riga e penso di averlo letto nell’età giusta. Mi ha fatto riflettere molto su cosa significa davvero la saggezza. Infatti ho capito che non significa sapere tutto bensì come comportarsi in qualsiasi occasione anche se banale o sciocca; bisogna riflettere e pensare a tutto, bisogna sperimentare, studiare gli altri, i loro comportamenti ma soprattutto bisogna saper ascoltare se si vuole davvero sapere e…imparare. Io penso che in ognuno di noi sia rinchiusa la Saggezza, anche nel più perfido dei ladri e criminali ma non tutti, specialmente questi ultimi, sanno sprigionarla, non sanno dove trovare la chiave per togliere il lucchetto della gabbia dove è rinchiusa la nostra Sapienza interiore. Per questo io penso che bisognerebbe “pensare” un po’ di più alle cose. Ogni religione, quindi appunto il Buddismo, il Cattolicesimo ecc., comprende un qualche tipo di “preghiera”, ma, per come la vedo io, sono soltanto delle frasi imparate a memoria che servono a distoglierci un po’ dalla realtà, dal mondo in cui viviamo. Perciò credo sia più utile al posto di una preghiera un’ora fermi davanti a qualcosa a pensare isolati da tutto ciò che ci circonda, cercando appunto dentro di noi la chiave per la Saggezza.

Orgoglio e Pregiudizio, il mondo di Jane Austen

Di Francesco Cornacchia

Mi sono sempre chiesto chi fosse mai questa scrittrice così famosa in tutto il mondo chiamata Jane Austen. Di lei si sanno molte cose, soprattutto si conoscono i suoi romanzi. Di certo è possibile affermare (senza cadere in critiche pesanti) che oggi la scrittrice detiene un posto d’onore tra i grandi scrittori della storia, inglese soprattutto, che hanno dato una svolta al mondo letterario moderno. Ed è proprio quello che scriverà di lei Virginia Woolf definendola come “la più grande scrittrice donna“. La sua scrittura è semplice, tersa; i temi da lei trattati sono quelli strettamente connessi alla sua vita che, sappiamo, essere stata una delle più appartate e ordinarie che ci possano essere. Jane Austen nasce il 16 settembre 1775 da un pastore anglicano, George Austen  e da Cassandra Leigh nello Hampshire. Penultima di otto figli, non si sposerà mai, esattamente come sua sorella più piccola Cassandra, alla quale sarà particolarmente legata. Sarà proprio quest’ultima che ci lascerà in dono un’immagine della scrittrice che oggi tutti conosciamo. L’unica, forse, testimonianza del suo viso, rivolto di tre quarti, che guarda lontano scrutando qualcosa. I riccioli ricoperti da una cuffietta, labbra leggermente dischiuse: insomma una donna della media borghesia qualunque. Sarà dietro quello sguardo attento e ironico che, osservando intorno, permetterà alla Austen di scrivere i suoi romanzi. Stesso sguardo acuto e attento si ritrova nel suo più famoso romanzo: “Orgoglio e Pregiudizio“. La storia infatti è incentrata sulla figura di Elisabeth Bennet, facente parte di una famiglia medio borghese, la quale combatterà contro i pregiudizi della borghesia nei confronti di Mr Darcy, uomo che chiederà la sua mano, finendo poi per redimersi e svegliarsi dallo stato di diffidenza nutrita dai pettegolezzi. Tuttavia Elisabeth non è l’unica protagonista del libro. Infatti ruolo non indifferente svolgerà Mrs Bennet, madre di Elisabeth, che tenterà in tutti i modi di far sposare le sue cinque figlie, inclusa la maggiore, Jane, che si innamorerà del giovane Bingley, uomo dell’alta borghesia. Lentamente la narrazione volge alla conclusione presentandoci un ritratto perfetto dei costumi della borghesia ottocentesca.

Jane Austen mi ha stupito per il suo modo di scrivere così semplice e delicato. In maniera minuziosa e arguta ci introduce nel mondo borghese, il suo mondo, ricco di contraddizioni, pregiudizi, ipocrisia. Un mondo che necessita di una evoluzione, quella che più tardi avverrà probabilmente con le sorelle Bronte, ma ancora più in là con la stessa Virginia Woolf che raccoglie nel saggio “Una stanza tutta per sé” l’eredità lasciata dalle donne nel mondo letterario. La Woolf dirà: “Se una donna voleva scrivere era costretta a farlo nel soggiorno comune” facendo riferimento agli inizi dell’Ottocento. Ma continua Virginia Woolf dicendo della Austen: “Come riuscisse a fare tutto questo è sorprendente, perché non aveva uno studio proprio in cui rifugiarsi, e gran parte della sua opera deve essere stata scritta nella stanza di soggiorno comune, dove era soggetta a ogni sorta di interruzioni casuali”. Ciò rende Jane Austen una donna brillante agli occhi di molti perché, con la sua capacità di scrivere senza obiezioni alla sua vita borghese, ha reso il miglior lavoro del suo tempo. Non resta che leggere i suoi romanzi con molta dedizione, immedesimandosi nei panni della scrittrice, immaginandosi un protagonista del teatro ricco di dettagli che Mrs Austen ci offre nei suoi capolavori.

Francesco Cornacchia


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