Quando la lettura diventa un percorso di crescita sento che siamo sulla strada giusta. Ci sono varie fasi nella vita dell’uomo che vengono superate per grado, lentamente. L’adolescenza è un momento essenziale nella crescita di un individuo perché segnerà in maniera incisiva il futuro. L’oggetto in questione dell’articolo di oggi non è una recensione che ho scritto personalmente, ma quella di un giovane adolescente: Dario Di Pinto. In estate, concluso il ciclo di studi scolastici, si assegnano generalmente delle letture da accompagnare nelle calde giornate sulla spiaggia. Ebbene lo stesso è avvenuto per Dario il quale, tra una lista di libri, ha scelto “Siddharta” di Hermann Hesse. Onorato e lusingato, profondamente colpito dalla profondità dei suoi pensieri, ho pensato di pubblicare il suo scritto, lasciando un contributo essenziale al percorso intrapreso in questo spazio culturale: dare un senso alla lettura. Di seguito trovate la recensione scritta di pugno dal giovane Di Pinto. Buona Lettura. Dimenticavo: Dario ha solo 13 anni. A voi trarre conclusioni:
SIDDHARTA
RECENSIONE DI DARIO DI PINTO (13 ANNI)
Il poema “Siddharta” fu scritto nel 1922 da Hermann Hesse un autore tedesco di notevole fama. Lo scritto narra la vita e le vicende appunto del giovane Siddharta figlio di un bramino, ragazzo semplice, abituato a mangiare poco ma molto diverso dagli altri giovani. Si distinse ben presto infatti per la sua ragguardevole capacità di pensare. Grazie a questa dote era capace di isolare il suo corpo terreno dalla sua “Anima” tramite anche l’OM, quella parola fondamentale alla base di tutto che permetteva di raggiungere la pace e la serenità mentale e spirituale. Grazie a questo riusciva quindi ad isolare il dolore, la fame, la sete, qualsiasi sofferenza. Sin da giovane Siddharta cercava questa saggezza infinita e ben presto capì che quest’ultima non poteva essere trasmessa dagli insegnamenti dei bramini e dagli anziani saggi ma bisognava trovarla nel proprio “IO”. Fu per questo che il ragazzo non volle mai seguire una dottrina e, non appena divenne uomo, se ne andò dalla sua casa paterna per cercare quindi la vera saggezza interiore. Questo viaggio lo intraprese assieme al suo amico migliore, la sua ombra, Govinda. Per anni i due compari viaggiarono vivendo di poco, un solo pasto al giorno vestiti di abiti semplici…degli stracci. Un anno in particolare trovarono una dottrina: il Saggio di quest’ultima era il Budda, il Perfettissimo. Ben presto lo riconobbe Siddharta, nonostante il Sublime vestiva ed elemosinava come tutti gli altri monaci, osservando il suo volto. Anche se non pareva allegro ne triste ma esprimeva pace, si riconosceva quel sorriso interno, puro, umile e sereno come quello di un bambino in buona salute. Visto ciò Govinda decise di fermarsi in quella dottrina con l’Illuminato e abbandonò il suo più grande amico che non volle fermarsi…anzi decise di andare avanti e cercare la perfezione da solo. Senza un maestro che cercasse di spiegargliela, senza studiare da manoscritti o altro…soltanto riflettendo, pensando. Si incamminò allora da quel villaggio dove aveva riposato senza il suo compagno e dopo anni Siddharta cambiò, iniziò a diventare vecchio e non curava più il suo corpo. Le unghie gli crescevano lunghissime così come la sua barba e i suoi capelli sporchi…ormai era rimasto con stracci e privo di tutto…quando poi trovò qualcosa: un fiume. Nei pressi di quest’ultimo viveva un semplice barcaiolo e fu allora che l’uomo decise di fermarsi e passare i suoi ultimi anni lì assieme all’altro vecchio. Dopo un po’ di tempo Siddharta capì che aveva trovato il suo maestro, il barcaiolo, anche se questo era molto semplice aveva un’incredibile dote: quella di saper ascoltare. Ogni volta che si raccontavano le loro vite questo sapeva rimanere in silenzio per tutto il tempo ad ascoltare, a pensare. Il pover uomo aveva imparato tutto da quel fiume ancor più Saggio che trasmetteva la sensazione del sapere, della saggezza. Meravigliosi furono quegli ultimi anni di semplicità che trascorse insieme al barcaiolo. Tante ore passarono i due a pensare sulla riva del fiume quando poi un giorno Siddharta sorrise e solo dopo si rese conto che quello era lo stesso sorriso che aveva l’Illuminato di quel villaggio lontano molti anni prima. Siddharta aveva raggiunto la sapienza la saggezza la perfezione: Siddharta era diventato un “Budda”.
Questa è in breve la storia del poema che mi ha colpito di più in assoluto, mi ha commosso leggere questo libro, riga per riga e penso di averlo letto nell’età giusta. Mi ha fatto riflettere molto su cosa significa davvero la saggezza. Infatti ho capito che non significa sapere tutto bensì come comportarsi in qualsiasi occasione anche se banale o sciocca; bisogna riflettere e pensare a tutto, bisogna sperimentare, studiare gli altri, i loro comportamenti ma soprattutto bisogna saper ascoltare se si vuole davvero sapere e…imparare. Io penso che in ognuno di noi sia rinchiusa la Saggezza, anche nel più perfido dei ladri e criminali ma non tutti, specialmente questi ultimi, sanno sprigionarla, non sanno dove trovare la chiave per togliere il lucchetto della gabbia dove è rinchiusa la nostra Sapienza interiore. Per questo io penso che bisognerebbe “pensare” un po’ di più alle cose. Ogni religione, quindi appunto il Buddismo, il Cattolicesimo ecc., comprende un qualche tipo di “preghiera”, ma, per come la vedo io, sono soltanto delle frasi imparate a memoria che servono a distoglierci un po’ dalla realtà, dal mondo in cui viviamo. Perciò credo sia più utile al posto di una preghiera un’ora fermi davanti a qualcosa a pensare isolati da tutto ciò che ci circonda, cercando appunto dentro di noi la chiave per la Saggezza.