A 16 anni una persona tanto cara, mi ha parlato di Simone De Beavoir, affiancandola alla figura del grande filosofo J.P. Sartre.
Chiaramente non sapevo chi fosse, ma sentire il nome del suo libro “Memorie d’una ragazza perbene” mi fece incuriosire.
Simone De Beavoir è nata “il 9 gennaio 1908, alle quattro del mattino, in una stanza dai mobili laccati in
bianco che dava sul boulevard Raspail. Nelle foto di famiglia fatte l’estate successiva si
vedono alcune giovani signore con lunghe gonne e cappelli impennacchiati di piume di
struzzo, e dei signori in panama, che sorridono a un neonato: sono io.”
È l’incipit del suo libro di cui vi parlavo sopra, l’inizio di una vita fatta di letture, studio, passioni, sconvolgimenti, ma soprattutto libertà.
Quando usiamo il termine libertà pensiamo forse ad una vita libera da convenzioni e restrizioni, probabilmente ci sbagliamo.
Ce lo insegna la De Beuvoir che nei suoi libri autobiografici ci consegna una scenario di vita (il suo) che ci vuole spiegare come le battaglie vanno sudate, si vincono ma
“Se vivi abbastanza a lungo, vedrai che ogni vittoria si muta in sconfitta.”
Ritornando alla sua biografia, nasce da una famiglia alto-borghese, un po’ in declino in quegli anni per bancarotta accreditata al nonno materno.
Tuttavia condussero con difficoltà una vita medio-borghese, permettendogli di leggere e di coltivare le sue più grandi passioni.
Mio padre aveva trent’anni, mia madre ventuno, e io ero la loro primogenita. Volto una pagina dell’album; la mamma tiene in braccio un neonato che non sono io; io porto una gonna pieghettata e un berretto, ho due anni e mezzo, e mia sorella è appena nata. A quanto pare, io ne fui gelosa, ma per poco. Per quanto lontano riesco a spingere la memoria, ero fiera d’essere la più grande: la primogenita. Mascherata da Cappuccetto rosso, con la focaccia e il burro nel panierino, mi sentivo più interessante d’una lattante chiusa nella sua culla. Io avevo una sorellina, ma lei non aveva me.
C’è una fase della sua vita che la segna molto: l’incontro all’università nel 1929 con Jean-Paul Sartre che sarà il suo compagno di una vita, senza convivenza, senza unione civile o religiosa, lo accompagnerà in giro per il mondo per affrontre temi sociali e umane più importanti.
Non per questo entrambi sono riconosciuti come due filosofi esistenzialisti.
Un momento epocale e di svolta come scrittrice sarà la pubblicazione del libro “Il secondo sesso”.
Il saggio-critica può essere definito il manifesto del femminismo: anticipata un po’ da Virginia Woolf sul tema, la De Beauvoir, dopo il suo rientro dagli Stati Uniti sconvolge il pubblico parlando della donna nella storia e non solo.
Dal punto di vista umano, sociale, psicologico, antropologico, la donna diventa il centro di un dibattito che la mette a confronto con l’altra figura: l’uomo.
I desideri, le passioni, il sesso, le mestruazioni: non c’è mai stata nessuna donna che in TV abbia parlato così tanto della figura femmnile come Simone.
Da tutti quindi il Secondo Sesso viene considerato come un manifesto femminista per eccellenza. Non per altro, la tradizione letteraria che anticipa questa corrente di pensiero, l’esistenzialismo appunto, si basa su concetti che vedono l’uomo (e a questo punto anche la donna) ritrovare un’esistenza che ormai è stata sconvolta dalla guerra.
È bello ritrovare nelle sue pagine la speranza: incantevole il libro dedicato agli ultimi anni di vita di sua madre in un letto d’ospedale; sentire come la De Beavoir ci insegna qualcosa:
“No, mi dissi, ordinando sul ripiano una pila di piatti, la mia vita condurrà in qualche posto..”
Ad ognuno la sua interpretazione:
“sono nata il 9 gennaio 1908, alle quattro del mattino, in una stanza dai mobili laccati in bianco che dava sul boulevard Raspail. Nelle foto di famiglia fatte l’estate successiva si vedono alcune giovani signore con lunghe gonne e cappelli impennacchiati di piume di struzzo, e dei signori in panama, che sorridono a un neonato: sono io…”
“attraverso la bocca il mondo entrava in me più intimamente che non attraverso gli occhi o le mani. Non lo accettavo in blocco…. In compenso, approfittavo con passione del privilegio dell’infanzia, per la quale la bellezza, il lusso, la felicità, sono cose che si mangiano..”
“la conseguenza fu che mi abituai a considerare la mia vita intellettuale – incarnata da mio padre – e la mia vita spirituale – diretta da mia madre – come due campi radicalmente eterogenei, tra i quali non poteva esserci alcuna interferenza..”
“Il giorno in cui entrai in quarta – prima – ero ormai sui dieci anni – il posto accanto al mio era occupato da una bambina nuova: una brunetta dai capelli corti. Aspettando la signorina, e alla fine della lezione, parlammo. Si chiamava Elizabeth Mabille, e aveva la mia età…”
” da quando ero nata, ogni sera mi ero addormentata un po’ più ricca della sera prima; mi elevavo a grado a grado; ma se in cima non avrei trovato nient’altro che un triste pianoro, senz’alcuna meta verso cui puntare, a che pro? no, mi dissi ordinando sul ripiano una pila di piatti, la mia vita condurrà in qualche posto.”
“le guance mi si fecero di brace; guardai con orrore l’impostore che per anni avevo preso per il rappresentante di Dio: d’improvviso, si era alzata la veste, scoprendo la sottana della bigotta; la sua veste di prete non era che un travestimento; vestiva una comare che si pasceva di pettegolezzi. Lasciai il confessionale con la testa in fiamme, decisa a non rimettervi più il piede..”
“avevo sempre desiderato conoscere tutto; la filosofia mi permetteva di soddisfare questo desiderio, poiché mirava alla totalità del reale..”
“leggendo il giornale appresi con stupore che l’aborto era un delitto; ciò che succedeva nel mio corpo riguardava soltanto me; nessun argomento riuscì a smuovermi da questa convinzione..”
“da questo momento, vi prendo in mano io – mi disse Sartre quando mi ebbe annunciato ch’ero stata ammessa agli orali…”
“parlavamo di una quantità di cose, ma in particolare d’un argomento che m’interessava sopra tutti: me stessa. Gli altri, quando pretendevano di spiegarmi, mi annettevano al loro mondo e m’irritavano; Sartre, al contrario, cercava di situarmi nel mio proprio sistema, mi comprendeva alla luce dei mie valori, dei miei progetti..”
Francesco Cornacchia