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La Signora Dalloway disse che i fiori li avrebbe comprati lei…

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…Con i fogli bianchi e calamaio, uscì fuori nel giardino. Era una splendida giornata di primavera. Il cinguettio degli uccelli risuonava nel cielo immenso. La Signora Woolf guardava spesso quel cielo catturandone tutte le sfumature, i rosati che si divertivano insieme alle nuvole, creando abissi e onde infinite. In quella immensità Virginia tante volte aveva immerso la sua anima, intingendo il calamaio con una sapiente penna con la quale poi, scriveva le sue opere. Era un’operazione delicata quella che avveniva dentro il suo cuore: ma basta guardare il cielo – pensava – ed ogni cosa si risolve. È difficile ritrovare un po’ di luce così intensa in questo secolo – pensò la Signora Woolf – ricordava quando era fanciulla, ingenua ragazza ancora con occhi vergini. Le corse nei parchi, i giochi in compagnia dei suoi fratelli. Tutto si era dissolto in pochissimo tempo. Erano passati molti anni, lei adesso era una donna che varcava la soglia dei quarant’anni e la percorreva cosciente, come un libro che poco per volta si compone, pagina per pagina, divenendo sempre più voluminoso. La signora Woolf però era affascinata dalla vita, dalla sua essenza inafferrabile. Sentiva il peso degli anni, quelli che erano trascorsi, ma tutto sembrava così poco, così breve. Se ricordava le sue letture giovanili, e scavava sino ai libri dei greci e dei latini, rimaneva quasi smarrita dall’antichità, dal tempo che era trascorso. E poi c’era il suo diario che aveva iniziato a portare con sé, perché voleva tracciare i suoi passi. Improvvisamente un vento leggero iniziò a soffiare sugli alberi e le colpì il viso. I suoi capelli leggermente brizzolati si mossero e le sfiorarono il volto. Il cielo era sempre lì, azzurro, contaminato solo da poche nuvole. E lei era di sotto, doveva alzare la testa per osservarlo. E poi c’era l’interiorità, la sua anima. Aveva avuto un dono credeva, la scrittura senz’altro, ma prima di tutto la vita. Un leggero sorriso si formò sul suo viso. I suoi occhi si posarono sul piccolo casale nel quel erano nate molte sue opere, idee, romanzi. Non poteva cambiare posto. Era sacro per lei. Ma c’era qualcosa che la spingeva a rientrare, a ritornare su quella poltrona sulla quale aveva iniziato la sua giornata. Doveva catturare qualcosa che era stato interrotto dall’entrata del Signor Woolf. Così riprese il cammino verso casa, verso la poltrona. Una volta giunta in salotto, guardò nuovamente i fiori che erano rimasti candidamente al loro posto nel vaso color verde smeraldo. Il gioco della natura anche in loro si compiva, tramite le colorazioni, le forme varie e delicate. Il vaso non era il loro ambiente naturale, ma ne costituiva in quell’arredo un quadro; un quadro che doveva a tutti i costi sfruttare. Si accomodò di nuovo sulla poltrona. Prese i fogli e iniziò a scrivere sussurrando a voce leggera: “la Signora Dalloway disse che i fiori li avrebbe comprati lei”.

Era l’inizio di un nuovo romanzo. Era l’inizio della storia che noi tutti conosciamo.

Francesco Cornacchia

Virginia e lo Specchio

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…Lo sapeva bene la Signora Virginia Woolf, che nella sua stanza guardava quei raggi impertinenti che la destavano dal sonno. Non poteva sfuggire una realtà così lampante ad una scrittrice. Allo stesso tempo, come conosceva la sua società, capì che non sarebbe riuscita ancora a dormire. Il Signor Leonard Woolf, suo marito, non era più accanto a lei nel letto. Era uscito presto per una serie di commissioni presso la Hogart Press, la casa editrice che avevano fondato insieme. Perciò decise di alzarsi. La colazione era già nella sua stanza, ma mangiare quella mattina non poteva e vi era anche una ragione. Il suo stato d’animo non era dei migliori. Aveva concluso la giornata precedente con dei pensieri troppo forti. Si era rinchiusa nel suo letto obbligandosi a leggere gli interminabili fogli bianchi sui quali aveva appuntato una serie di frasi. Qualche bozza di un romanzo si poteva anche definire, ma come al solito c’era qualcosa che le mancava. Si alzò dal letto e si preparò per la solita toletta del mattino. Un grande specchio era poggiato poco vicino al suo letto. Mentre preparava i suoi abiti voltò il capo e la sua immagine riflessa quasi la spaventò. Guardava ogni mattina con stupore il suo volto scarno, i lineamenti ben definiti, i suoi capelli raccolti ed ogni volta non si riconosceva. Questo però avveniva solo per pochi secondi; per poco lei registrava il suo volto, il suo cambiamento, per capire quanto il tempo le avesse segnato il viso, per quanto la vita la stesse conducendo nella storia. Non era più una ragazzina, adesso il suo corpo reclamava la verità di una donna, e lo specchio ne restituiva quella volgare sensazione di nudità che le offriva l’esteriore, l’involucro. Interiormente lei era confusa; a tratti smarrita. Sapeva che era nata per uno scopo, scrivere e diventare una scrittrice. Non sono due aspetti uguali, sebbene il sostantivo derivi dal verbo. Lei sapeva scrivere, ne aveva la stoffa e la passione, ma non sapeva ancora come fare a diventare una scrittrice. Si, perché per lei la scrittrice aveva un compito molto arduo, addure all’interno del suo cuore, catturarne il brivido che si dirada nelle vene ed esprimerlo tramite inchiostro su carta bianca. Non era neanche il foglio bianco a spaventarla, non ci sarebbero voluti ingegni per scarabocchiarlo. I pensieri si raccoglievano nella sua testa, ma poi sistemarli non era compito arduo. C’era qualcosa nella Signora Woolf che la faceva sentire a disagio delle volte, e quel disagio nasceva proprio dal mondo interiore, quella coscienza latente che emergeva dal suo intimo. Per questo la sua identità molto spesso la confondeva, ma lo specchio dice la verità. Non può mentire – pensava Virginia Woolf –  questa sono io, in carne ed ossa. Allora si voltava leggermente di fianco e guardava la sua magrezza e ancora lo specchio le restituiva la realtà. Ah se solo potessi restituire questa stessa realtà nella scrittura –  si ripeteva angosciandosi maggiormente. Ma non era un problema ritornare alla realtà. Poco dopo una scossa improvvisa la ridestava dai suoi pensieri e con la sua espressione malinconica proseguiva con disinvoltura a coprire quel corpo che si muoveva adesso nello specchio….

Francesco Cornacchia

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Virginia Woolf: Una Stanza Tutta Per Sé

Di Francesco Cornacchia

Ho sempre sostenuto nei miei ultimi articoli che leggere un libro significa intraprendere un percorso sintomatico all’interno di un mondo ed un pensiero che è frutto di indagine dell’autore. Questa volta il percorso è stato esistenziale e di attualizzazione al presente. Il merito ricade sul Saggio libro, romanzo (chiamatelo come volete) “Una stanza tutta per sé” della scrittrice londinese Virginia Woolf. Quest’ultima, chiamata presso istituti femminili a esprimere la sua opinione sul tema “le donne e il romanzo” nel 1928, farà nascere una discussione che si estenderà in un lungo percorso di ricerca, abbracciando secoli di storia e indagando sulla figura della donna dal punto di vista sia dello scrittore sia da quello individuale. L’oggetto centrale d’indagine si sposta su un’affermazione, un pensiero, un’opinione come da lei stessa definita cioè: “ una donna deve avere soldi e una stanza tutta per sé, se vuole scrivere romanzi”. Questa volta non mi soffermerò molto sul contenuto del libro, che già molti conoscono, ma vi condurrò in un percorso che mi ha spinto a scrivere ciò che segue. Questa volta utilizzerò lo stesso sistema adottato dalla scrittrice nella “stanza tutta per sé” per portarvi nella dimensione quotidiana nella quale ho condotto la lettura. L’idea della “stanza” proposta da Virginia Woolf è emblematico di quel luogo, circondato da quattro mura ed una serratura alla porta, che non permetta l’accesso a nessuno. Sebbene il concetto sfiori la clausura, la mia dimensione sorvola il quotidiano o i parossismi, concentrandosi sulla necessità di ognuno di sapersi raccogliere tra le proprie stanze e meditare.

Ero nella mia stanza, con un camino acceso, seduto ad un tavolo con il libro di Virginia Woolf aperto. La televisione trasmetteva programmi natalizi. Le festività erano nel pieno del suo splendore, non di meno le illuminazioni facevano da sfondo al paese. Conclusa l’ultima pagina, ho chiuso immediatamente il libro e mi sono guardato intorno. Nessuno era presente con me, eccetto i miei due gattini distesi sulle loro rispettive poltroncine, addormentati. Ho riposto il libro nella mia borsa e nel frattempo la mia mente pensava solo ad evadere. Per gran parte della serata non ho pensato minimamente alla mia lettura. Un’uscita in macchina, qualche parola scambiata con il vicino, la gente per strada trafficava ognuno rivolto verso la propria destinazione. Arrivata la sera nel mio letto, solo tra le lenzuola, inizio a pensare alla stanza. Ho rimuginato sul fatto che molto spesso mi capita di aver bisogno ritagliarmi uno spazio nel quale poter restare completamente solo e agire, che sia scrivere, studiare, piangere, sorridere, leggere, qualsiasi cosa. Riprendevo allora le parole di Virginia Woolf: che cosa intendeva in sostanza con la stanza tutta per sé? Ebbene non discorrerò a lungo sul contenuto del saggio-romanzo compilato con sempre grande maestria dalla scrittrice londinese. E nemmeno vi parlerò a lungo della sua vita, tranne che per gli aspetti salienti della sua vena artistica. Iniziano allora le riflessioni sulla scrittrice. Figura d’avanguardia, Virginia Woolf, ponendo luce sulla figura della donna nella storia, imprime un tono di attenzione e rivoluzione non indifferente. Lo è anche il fatto stesso che una donna, cultrice e rinomata come Woolf, abbia posto nel suo dialogo, abbastanza confidenziale e libero da ostruzioni, una OPINIONE, che sia semplice, senza schemi, o verità. È proprio quest’ultimo aspetto che esula l’intento della Woolf; non ci sono recriminazioni e nemmeno intenti guerrafondai. Allora ritorniamo al mio soggiorno nel letto di casa preso dai mille pensieri. La stanza tutta per sé è quella che desidera ogni scrittore, poeta, psicologo, madre, padre, dottore, avvocato, direi per generalizzare l’umanità. Il mio atteggiamento è assolutamente di riflessione, ma nel profondo del mio stomaco sento uno strano tramestio. Non capendo da cosa dipenda questo stato d’animo così ingarbugliato, mi getto nelle braccia di Morfeo augurandomi un soggiorno un po’ più tranquillo. Al mattino al solito mia madre accende la tv, mio padre assonnato sul divano continua a riprendersi dopo una lunga nottata di ristoro, ed io sono ancora alle prese con lo stato d’animo ingarbugliato. In me esplode un pensiero, che si sta formando. Rientro nella mia stanza, apro il PC e inizio a cercare critiche e recensioni sul libro di Virginia Woolf. Ci passo quasi un’ora ma alla fine non riesco a placare la mia sete interiore.

Ebbene passano altri giorni con l’idea della stanza nella mia testa e una serie di impegni quotidiani che non esulano il mio dovere di cittadino e uomo. Improvvisamente mentre sono di ritorno a casa dopo una mattinata di studio, mi balza nella mente un pensiero: “la mia vita è bellissima, amo vivere, ma quello che faccio non veste esattamente il desiderio di fare quello che voglio di più, come per esempio scrivere”. Allora un altro pensiero mi giunge nella mente: “ma certo la mia condizione di uomo in questa società è quella di riuscire a portare a casa almeno l’indispensabile per sopravvivere, farmi qualche doccia in più, riuscire a pagarmi qualche corso di nuoto e magari calcolare qualche uscita serale nel portafoglio”. Mi sono reso conto che la condizione in cui vivo è simile a quella di un sottomesso ad obblighi inscindibili che non posso evitare. Ecco che arrivo al dunque, la stanza tutta per sé di Virginia Woolf è la condizione umana che ogni uomo deve ottenere e avere. Ciò sembra facile, ma la sua esistenza è intrinseca. Allo stesso tempo anche l’idea di un compenso monetario sembra camminare di pari passo con la stessa esistenza della stanza.

Lo scrittore necessita del suo spazio per comporre le sue idee, ovvero i suoi libri. Con scrittore intendo un uomo o una donna, estendo l’identità anche all’androgino, che merita, per la sua capacità di vedere con consapevolezza la realtà, un luogo tutto suo nel quale comporre e ovviamente un compenso commisurato alle sue esigenze. Mi rendo conto che è una cosa impossibile e mi spiego anche perché. Oggi essere scrittori è molto più difficile perché èparadossalmente- più facile esserlo. Quando Virginia Woolf tenne le sue conferenze negli istituti femminili nel 1928 e in seguito il saggio vide la sua pubblicazione nel 1929, i tempi erano completamente diversi. Parliamo della prima metà del 900, anni di sconvolgimenti, di regimi totalitari diffusi in gran parte del mondo. Ma qualcosa stava cambiando. Dopo la seconda guerra mondiale – altra epoca di confusioni e sconvolgimenti umanitari- la realtà si è “ampliata”. La diffusione della rete ha visto abbattere le barriere e i confini della riservatezza, per dare libero sfogo alle idee, ai libri, ai saggi, a qualsiasi parola che spesa su un blog o social network diventi simbolo di verità. Ma il mio intento non è quello di denigrare la realtà globalizzata e telematica. Mi ci calo perfettamente, ma il fatto stesso che una donna come Virginia Woolf, grande scrittrice del Novecento, conosciuta in tutto il mondo e forte delle sue opere d’avanguardia, sia stata così lungimirante da arrivare sino a me, nato nel 1989, e far sì che risollevasse dal profondo della coscienza l’esigenza della stanza e del compenso. Avrei dovuto spendere parole infinite, magari creare anche io un saggio così efficace ed essenziale (a tratti ironico) come quello di Virginia Woolf, per emettere una reale sensazione a voi che leggete del mio pensiero. Ma mi limito a fare il lettore, nient’altro. Definirei “Una stanza tutta per sé” un’opera assolutamente attuale e sintomatica di una condizione esistenziale che ancora oggi persiste. Virginia Woolf ci dà gli strumenti per capire come interpretare la realtà e soprattutto sviluppare la nostra vena artistica. Senza “rabbia” e con molta caparbietà, costruendo una identità che non sia appannaggio di altri, ma solo nostra e nella quale saper ritrovare ogni volta la nostra dimensione. Mai libro mi è sembrato più grande e emancipato come questo. Affidatevi alla lettura, la chiave di interpretazione del mondo ci viene suggerita spesso tra le pagine di un buon libro.